Scritti su Diana Baylon
Michelangelo Masciotta
Un’artista proba
Firenze, 1965
Diana Baylon chiama la sua scultura “virtuale” e con ragione. Il termine “virtuale” non va inteso nel suo promo significato lessicale, di cosa non messa in atto anche riconoscendone la possibilità, ma nella più ampia apertura verso una capacità di dominio e insieme di superamento dei mezzi impiegati. Si giunge intanto a “virtù” inizialmente poco percettibili, ma che si scoprono nella conclusione dell’opera, e sono i modi “liberatori”. Liberazione da ogni forma di oggettualità passiva, liberazione da un passato inerte per un presente meditato e vivo. Un lungo, felice cammino.
Ennio Pouchard
Diana Baylon
Padova, 1967
Diana Baylon ha iniziato a trattare il marmo quando ha vissuto il concetto matematico di generazione di un volume per traslazione di superficie, due anni fa. Ha parlato al marmo, come si parla alle piante per farle crescere bene, senza sosta (…) le sue idee, affrancate, è utile precisarlo, da premesse naturalistiche, nascono a Fiesole, e prendono corpo a Pietrasanta, che è l’attivissimo centro del marmo apuano (…) Diana presenta in massima parte compenetrazioni e incastri nel marmo nero del Belgio. Duro, pesante, orgoglioso, ma disposto a trasfigurarsi sotto un lento, innamorato accarezzare; un carezzare senza fine con lime, abrasivi, mani, occhi.
Lara-Vinca Masini
Lo spazio tempo curvo, infinito di Diana Baylon
Firenze, 1972
L’uso di questi materiali lucenti, riflettenti, dai colori densi e continuamente varianti, rispondenti in modo diretto e immediato al minimo trascorrere della luce […] L’uso, inoltre, di queste materie, per bande di colore, per gradienti di luce, per sottili scarti progressivi, vuole essere anche una trasformazione analogica di un concetto tutto personale di spazio-tempo, che, per la Baylon, in una sorta d’ispirazione mistica (o forse più animistica che mistica), nella sua curvatura infinita, si identifica col silenzio assoluto.
Questa concezione coinvolge anche, proprio in rapporto diretto e univoco con il senso del silenzio, in onde ritmiche, in gradienti, quella della musica, intesa come raccordo di fasce sonore, progressive, fluenti, senza soluzione di continuità, riflesso, anch’esse, della relazione emotiva, in profondo, dell’uomo, di fronte all’infinto sonoro in cui siamo immersi.
Teresa Rampazzi
(Gruppo NPS - Padova)
Firenze, 1974
Nei suoi ultimi lavori gli oggetti di Diana Baylon stanno decisamente spiccando il volo – immediatamente prima dovevano attraversare densi strati di atmosfera, sebbene lo facessero con uguale decisione, oppure roteavano già nello spazio ma con eleganza quasi eccessiva e compiaciuta – sebbene mozartianamente libera.
Ora il discorso è più duro – dal profano al sacro. Non si danza più sull'essere e il non essere.
Semplicemente siamo già in volo. Negli ultimi oggetti i fasci di luce attraversano l'atmosfera che è essa stessa luce – niente li trattiene – solo i limiti di una perfetta geometria – che non sono limiti ma libertà – canto dominato – ci sono rapporti numerici segreti, simmetrie non simmetriche, forme geometriche che sfuggono alle definizioni della percezione – il tutto resta compatto e fermo – così veloce che appare fermo – non si è staccato da noi – noi lo comprendiamo.
Piero Pacini
Diana Baylon, La contemplazione e l'ipnosi cosciente
Bolzano, 1976
Le composizioni metalliche (o le sculture virtuali) della Baylon intimidiscono più di uno spettatore per il rigore tecnico e la severità del linguaggio che le contraddistinguono: sono pezzi unici gelidamente lucenti, che sembrano sfidare l’usura e la patina del tempo e che rimandano alle forme sempre più perfette di una tecnologia avanzata (…) un procedimento costruttivo e fantastico non facile, che evita e respinge i compiacimenti formali come le complicazioni e le chiusure didattiche.
Giuliano Serafini
Diana Baylon o dell’assoluto sensibile
Firenze, 1982
Nascono così le sculture “di superficie” (…) che, riflettendo la luce, impediscono qualsiasi “penetrazione” all’interno.
Nel loro splendore di totem tecnologici coi loro incastri implacabili, la perfezione assoluta dell’oggetto in cui la forma sembra scandita su principi matematici (…) e sui ritmi che permettono alla luce di intensificare il significato squisitamente contemplativo dell’opera attraverso intensità siderali.
E’ ancora la singolare complicità di pensiero ed emozione che continuamente interagisce e ribalta i propri termini: si avverte nei più recenti incastri in marmo nero del Belgio, dove gli spigoli su cui la luce scivola via come su parete invalicabili, si rinchiudono e si compenetrano per un inesorabile meccanismo attrattivo. Anche qui, come negli intarsi metallici, la Baylon vive il momento esecutivo come progetto e ipotesi di eternità.
Siamo nel territorio della contemporaneità assoluta, prossima al pensiero Zen. (…) Così, l’assoluto estetico e manuale, si fa meta e insieme strumento della sua esperienza, concorrendo a stabilizzare il senso in termini di “valore”, di contro le effimere avventure del conceptual. In definitiva l’opera della Baylon indica un concetto di bellezza secondo un’accezione “classica”, così come è andata affermandosi nella civiltà occidentale.
Giuliano Serafini
Diana Baylon, Pitagora e passione
Bologna, 1992
Riferendomi al lavoro di Diana Baylon, o meglio al suo rapporto con l’opera, in una presentazione di qualche anno fa ho parlato di solipsismo e di perdita. Se con il primo termine alludevo a quella che è la condizione naturale di ogni artista, con l’altro intendevo indicare, più che la sconfitta, il rifiuto intransigente opposto alle congiunture e alle strategie dell’arte; come dire l’attestato perfino doloroso di una distanza da stabilire tra sé e il mondo, a costo di sacrificare il tutto, magari la carriera.
Lisa Licitra Ponti
Diana ama il rischio
Pontedera, 2007
Ammiro Diana Baylon. Diana l’artista “difficile e proba”. Diana l’etrusca che ama la geometria, meglio, che concentra in geometria l’emozione: Diana “sigilla il temporale” in forme che ne vibrano, non emettendo che luce. (E’ bella l’intesa di Diana con Lucio Fontana, che le scriveva anche in poesia: “Il mare è nero / tu sei trasparente / il cielo è nero / tu sei profonda… ciao”).
La luce è controllabile, lo spazio è controllabile: non così il “Grande Fuoco” ceramico, che fa scherzi all’autore, e Diana non lo pratica, anche se è colore. Diana, come ai tempi dei tempi, pratica il peso, la materia, la superficie, il ritmo. Non teme la dimensione: un anello, un gioiello, se è forma è forma dura, non intaccata dal tempo.
Diana è l’artista – penso – che ama l’acrobazia ma non il precipizio. (L’acrobazia l’ha nel sangue, figlia com’è di un famoso aviatore temerario). Diana ama l’arte. Auguri a Diana Baylon! E a tutti noi, noi che pensiamo all’opera sua, la guardiamo e l’ammiriamo.
Carlo Cioni
L’avventura di Diana Baylon
Milano, 2008
Diana, si diceva, aveva una qualità particolare, quella di convivere coscientemente e felicemente con la “conoscenza emotiva” (…) se si desidera pensare che la vita è una e in ciascun di noi sono comprese tutte le cose del mondo. Allora riusciremo a farci penetrare dalla luce che emana dalle sue opere, ma che proviene da una dimensione, che non appartiene allo spazio-tempo e contraddice la solidità delle forme e dei materiali stessi.
Anna Mari
D-iana come D-esign = arte & utopia
Milano, 2008
Non è l’aurea che viene messa in discussione ma tutte le epoche antecedenti all’industria. L’aurea non può essere minacciata, anzi viene salvaguardata togliendola dalla peculiarità del sentimento, dal gesto taumaturgico dell’artista, per restituirla agli uomini, alla contemporaneità, anzi alla modernità. L’aurea “ripulita” si cristallizza risplendendo di “una nuova vita” fatta di “gesti concreti”. L’arte si apre, supera gli odiosi confini, diventa architettura, design, pittura, scultura, grafica… gesto, è “arte concreta”.
Le opere metalliche di Diana Baylon sono superfici geometriche semplici, integrate e giustapposte perfettamente tra loro, di un’utopia perfetta. Superfici senza colore, riflettenti, fatte di bagliori argentei, opachi, lucidi, anodizzati. Superfici che non si raccontano – non c’è memoria – si ergono semplicemente a utensili-icone della modernità.
Dal padre aviatore Diana Baylon ha probabilmente ereditato l’inevitabilità del gesto esatto, il controllo dell’emozione, l’ammirazione per l’ingegneria dei motori.
Mentre l’ebbrezza del volo l’ha confinata alla caducità della carte “una bambola” – il suo “autoritratto” – fatta di strisce di carta mosse dal vento, scritte e riscritte – maniacal/mente. Geroglifici come traccia della sua vita, prima di spiccare l’inevitabile, ultimo volo.
Paola Barbara Sega
Diana Baylon ovvero la ricomparsa dell’ “aura”
Milano, 2008
Paradossalmente la Baylon si considera un’artista “emarginata”, scorrendo la sua biografia espositiva, lo storico dell’arte constata che la presenza delle opere, delle sculture, dei gioielli e del design sono state sempre molto considerate in luoghi espostivi di grande prestigio, spero che la sua partecipazione al Turin World Design Capital del 2008, la porti a essere annoverata fra le più significative artiste dell’astrattismo del dopoguerra e del movimento programmato e ottico-cinetico europeo.
Marta Casati
Raccontare Diana Baylon
Milano, 2008
Il volo connesso alla precoce scoperta dei grandi orizzonti, hanno esercitato sull’immaginario di Diana bambina, quel brivido emotivo che ne determinerà la vita e l’opera. Voli che più tardi le suggeriranno opere dalle ampie architetture e di grande respiro, come Città spaziale del 1964. Quando l’artista lascia che il dipinto sia invaso e agito dalla luce e che il colore sia sostituito dalla luce. Diana Baylon costruttrice di forme archetipe purissime (…) la chiave dei meccanismi della geometria e del segreto matematico dell’accadere, un trasporsi dall’esperienza all’essenza – causa ed effetto insieme – solide, magnetiche e trasparenti.
E sarà il colore-luce, moltiplicato dalle superfici metalliche – la conquista più originale della Baylon – dove la geometria e il procedere logico divengono analisi e sintesi della realtà, e al contempo creazione pura: “La geometria esiste da sempre come grammatica e canale dell’immaginazione che mi predispongono all’avventura del caso“.
Da questo miracolo sgorga un’opera costituita da materiali riflettenti e lucenti, che ora assorbono e ora rifiutano la luce, cambiandone di volta in volta la rifrazione di un’opera apparentemente riproducibile. Un processo che nega qualunque monumentalità, dato che Diana Baylon non crede alla funzione sociale né alla funzione celebrativa e retorica dell’arte. Per lei le forme non devono riempire gli spazi, ma solo formarli.
Philippe d’Averio
Cara Diana
Milano, 2008
Tu, Diana, ti applichi, d’artista, ai temi del manufatto personale, cioè all’opera. Passando dal grande al piccolo – cioè dal quadro alla scultura, dalla scultura al quadro-scultura, e poi al gioiello fino all’oggetto minuto e viceversa. Sempre con l’impegno di cercare, sperimentandoli, i rapporti della luce con i materiali nuovi – dai metalli ai vetri, dalla lana alla carta, dai gioielli al plexiglas – però declinati con la tradizione della pietra e del marmo. Un mondo, il tuo, fatto di sottili equilibri e di cortesi eleganze.
In barba alle Biennali venezian-newyorkesi di ieri e forse di domani, quelle che vorrebbero condannare la penisola a mero palcoscenico per le feste internazionali, negli anni a venire ci toccherà scoprire tanti artisti, veri e autentici, talvolta minori, marginali mai, che pensavamo di non possedere affatto.
Anty Pansera
Un’artista per il design
Milano, 2008
E penso, in particolare, per la sua serie di gioielli (esposti nel 1977 alla fiorentina galleria Menghelli), e a una sua collana/gioiello presentata anche fra i Marginalia – proprio tra i pezzi d’eccezione, allora – alla Sala della Balla del Castello Sforzesco di Milano, per l’antologica Progettare per l’oro (1980) ordinata da Pier Carlo Santini Felice qui la miniaturazzazione, di un lessico che ben caratterizza, oltre che per la creatività, per la “progettualità”. E proprio la declinazione di questi due termini – creatività e progettualità – mi hanno coinvolta in questo “omaggio” a Diana Baylon, “un’artista per il design” (...) libera espressività creativa “applicata alla progettazione di complementi d’uso, pezzo al momento d’eccezione, “destinati/destinabili” comunque alla serie.
Ad apertura degli anni Ottanta, poi, sarà il plexiglas a intrigarla e a racchiudere “essenze” – quando non colorate “carte” (…). Vetro, plexiglass e acciaio in Progetti di Lumi (…) Lana per gli arazzi…
Negli ultimi anni, Diana si è quasi isolata, nel suo hermitage di Fiesole e ha trovato anche nella poesia un nuovo strumento per comunicare e rappresentarsi: Parole oltre il muro, pubblicato nel 1992 e Gocce di mare nel 2000. Intrecci di sentimenti, dei suoi disagi e delle sue gioie: emozioni, allora, come quelle che ben traspaiono – e ci colgono – nella “lettura” delle sue pitture, delle sue sculture, dei suoi “complementi d’uso”, sempre d’eccezione.
Lucrezia de Domizio Durini
Un soffio di serenità
MIlano, 2008
Aldo Ricci e Diana Baylon nelle differenti istanze e nei diversissimi compiti hanno in comune il Coraggio come unica possibilità di linguaggio, caratteristica, oggi più che mai necessaria, per ricordare all’uomo di essere un vero uomo.
Diana Baylon, una delle rare donne artiste che possiede il “sesso degli angeli”, in cui Nulla è andato perduto della sua vita di donna e artista. Un universo infinito di forme e di valori che sigillano la grandiosità della sua arte.
Un bene sociale, quello della Baylon, che nel lungo viaggio dell’Arte ha percorso con amici come Fontana, Burri, Munari e tanti altri ancora… con i quali ha condiviso momenti, luoghi e sentimenti di irripetibile interrelazione (…) in cui la poesia della sua intera esistenza, subisce transustanziazioni creative di inestimabile valore culturale.
Un’Arte che vive in simbiosi con la Vita (…) e per la Natura (…) come “madre”, sempre pronta ad elargire possibilità immense, eterne, in cui la Baylon, con il suo occhio magico, scopre e ruba i segreti nascosti nelle viscera della terra, quale benefica divinità. (…) E’ questo il periodo in cui Diana Baylon conduce la sua visione dell’Arte verso i territori sacri della Natura, oltre il tempo e lo spazio, nella cosmologia della spiritualità umana. Osserva la terra e le piante. Guarda l’albero come figlio della terra, trasmettitore vegetale e secolare che innalzandosi verso il cielo indica all’uomo il cammino verso l’alto, nell’alto grado della trascendenza.
Roberto Logi
Fiesole, 2008
"Il primo pregio della sua opera è non aver mai accondisceso alla monomaniacità di tanti artisti che, costretti a ripetersi all’infinito pur di rendersi visibili, sono diventati monotoni. Ecco perché un critico storicizzante potrebbe valutare, a prima vista, l’opera di Diana come manierista. D’altronde è lo stesso rilievo che veniva mosso a Picasso, il miglior artista del secolo e il più grande manierista di tutti i tempi.
Un filo comune lega tutta la ricerca delle opere di Diana Baylon. Una detrazione minimalista e geometrica che affascina ancor più perché creata da una donna. Donna speciale, con la D maiuscola, che si è rifiutata sempre di dipingere facili ghirighori ed invece, con un rigore maschile, analitico e monacale ha costantemente detratto l’inutile, il superfluo.
E’ l’ora quindi di riconoscerle il merito di essere riuscita a sfuggire alle gabbie – quelle del mercato, dei parties intellettuali, del quadretto da salotto, della civetteria decorativista – spiccando sempre il volo."
Aldo Ricci
D come Diana, B come Baylon
Rivoli, 2012
Diana ama il rischio ha scritto Lisa Ponti (…) e la Baylon pur preavvertendo il rischio che si assumeva ignorando prima l’arte così/detta povera e poi la trans/avanguardia e quel poco d’altro che rimaneva, ha continuato imperterrita a sperimentare passando rapida dall’alluminio all’acciaio, dal legno al plexiglas, dalla carta al vetro, dalla pietra ai metalli preziosi, continuando imperterrita a produrre quadri, sculture, tappeti, arazzi, gioielli...
Giancarlo Politi, a proposito dell’arte contemporanea, scrive che: “ è sempre specchio di una società aspra, dolorosa e spesso tragica”, mentre l’arte di Diana è gioiosa, vitale e bella tout court – praticamente una bestemmia.
Diana Baylon è colpevole d’essersi concessa il lusso, in un periodo storico in cui pare definitivamente scomparso, d’aver deliberatamente ignorato le regole del “sistema dell’arte” e dell’omonimo mercato, snobbandolo q.b., quanto bastava & basta per contrapporvisi – di qui lo spreco e la dissipazione, colta da Casati e Serafini, mediante i quali la Baylon si è in/consapevolmente scavata la fossa, come ne La Tomba di Diana, una dei suoi gioielli in plexiglass più riusciti – a mo’ di futura memoria di una protagonista dell’arte italiana del secondo novecento.
Alfonso Panzetta
Rivoli, 2012
Un eclettismo apparente [quello di Diana Baylon] perché c’è una continuità e una coerenza assoluta tra un pezzo e l’altro, come se la Baylon avesse digerito e riproposto Brancusi in modo assolutamente contemporaneo.
Alfonso Panzetta
Alluminio
Montevarchi, 2013
… la contemporanea eleganza mentale della Baylon…
Giulia Stagi
Alluminio
Montevarchi, 2013
Forti contrasti e luce, assorbita e rifiutata, sono le basi, l’alfabeto dell’arte di Diana Baylon, senza orpelli, senza inutili soverchi, proprio perché l’artista non crede nella funzione sociale dell’arte né, tanto meno, nella missione celebrativa e retorica della scultura.
Stefano de Rosa
Oltre i recinti delle parole
Fiesole, 2013
E' stato lungo il cammino di Diana. Ha attraversato i deserti di una società italiana inibita dal cattolicesimo e illusa da un'ideologia che del marxismo sapeva vedere solo, e con pedestre monotonia, l'aspetto di un meccanico, e sterile, scientismo. E' stata laica con quella serenità disarmante propria dei poeti, che vivono e non discettano, contemplano e poi ricreano, con un ritmo che ha qualcosa dell'incalzante respiro del pathos.
Da tale processo prendeva vigore un'arte che la spingeva a usare le materie più varie, senza fermarsi di fronte a niente. Così, Diana Baylon è stata pittrice, scultrice, designer, poeta. Ha creato opere concepite per spazi aperti, come pure destinate a distillare grazia e bellezza in chiuse teche. Ha saputo passare con raro senso di pertinenza e di pregnanza, dal monumentale al dettaglio minuto, dal gigantismo all'opera minimale.
Negli ultimi due decenni della sua esistenza attiva e generosa, Diana ha cercato di non far dimenticare, contro impostazioni ontologiche di grottesco conio manicheo, che il fine dell'arte è l'incontro con la bellezza. Questo incontro l'ha cercato per tutta la vita che si è interrotta a 92 anni. E' facile pensarla, adesso, come un nucleo di pura luce, risolto in uno spazio abbacinante.
Francesca Bartoletti
Tenuta Privata San Settimio, Palazzo d'Acervia (An), 2014
Penso che la Baylon abbia dato uno dei più grandi contributi dell’epoca nella visione fervida e coraggiosa di quegli anni… sarà riconosciuta per lungimiranza e partecipazione reale al suo tempo… l’amo per la sua sensibile forza!
scritti di Diana Baylon
Qui, chiusa nel mio eremo, vorrei rivelare tutto pur avendo la certezza di non riuscire a esprimere nulla. Dolore ma anche distacco mi occupano.
Sono una donna e rivendico il diritto di esprimermi come una donna. Voglio essere soggetto, voglio che la storia sia raccontata anche dal nostro punto di vista, pur non essendo ancora riuscita a sottrarmi all’assurda crudeltà degli uomini. Si sentono minacciati dalla mia sicurezza ma io non voglio fare la guerra.
“Vuoi fare la guerra?” – mi gridano addosso.
Ma è una minaccia, non una domanda.
E allora succede che uno la guerra la deve fare da solo e questo fomenta l’odio verso il nemico che non ci sta. L’uomo non fa altro che fare la guerra. Io, invece della guerra, oltre che delle mie idee, esigo il rispetto della mia voglia di non farla.
Questo sistema ancora così arcaico e paternalista, non è riuscito a distruggere la mia vitalità. Infatti non v’è un’idea escogitata dalla mente dell’uomo che contenga tutta la verità della vita. E poiché la mente dell’uomo ha esplorato solo metà del cielo, l’altra non gli è mai appartenuta, ne mai gli apparterrà (…) ma essere donna è meglio, molto meglio.
Non può essere che un artista si ponga contemporaneamente dalla parte della storia e della natura, che ogni sua azione sia una ricerca storica sostanziata però dalla sua imprevedibilità. Può la sua azione essere spontanea anche usando i metodi dell’arte programmata. Di qui la ricerca continua con risultati diversi, pur usando mezzi espressivi anche tecnologici. Quindi la mia conoscenza si sostanzia in energia che viene trasfusa in questa forma astratte e neo concrete.
Ho lavorato nei laboratori assieme agli artigiani dai quali umilmente ho imparato i mestieri. Come i dadaisti penso che ‘imparare a lavorare in gruppo collettivamente e amorevolmente per aumentare la forza e diminuire l’orgoglio’. Infatti non lavoro per un’élite ma per chiunque apprezzi il mio lavoro, che è fatto di emotività e controlli mentali, con rigidità puramente apparenti (…) poiché la donna che è terra, sa che dalle radici si giunge al cielo ma non viceversa.
Che importa se nessuno si ricorda più di me
Io sono fui e sarò
Nell’infinità del tempo
Il lungo filo del ragno eterno
nel silenzio
vagabonda nelle stelle
Nell'irrazionalismo meccanico in cui viviamo, condizionati da una società che ha perduto il senso della realtà delle cose in una alienata ricerca di benessere, riuscire ad esprimersi attraverso un'operazione artistica, credo sia determinante per l'uomo singolo e condizionante per il sistema. Penso che un artista possa esprimersi in qualsiasi modo e con qualsiasi materia, usando qualsiasi tecnica, in totale libertà. Personalmente uso materiali largamente impiegati dalla tecnica, solo li uso in modo diverso. Il mio modo di 'essere' è di usare l'immaginazione, e ciò è fantastico, emozionante, liberatorio, disalienante...
- In arte sono stata una grande sperimentatrice. Ogni materia mi tentava, ogni tecnica era da sperimentare, dal figurativo all’informale, cercando quelle dimensioni atmosferiche e cosmiche che come per magia scaturivano dal pennello.
- Poi venne il tempo in cui sentii la necessità di fermare la visione di un attimo che fosse eterno; il segno forte e unico, concentrazione di colore e forma in una specie di identificazione e di annientamento dell’universo.
- Di tempo in tempo ho rimesso tutto in discussione, poiché mi metto continuamente in discussione, mi offro la possibilità di andare oltre.
- La conoscenza non ha barriere. Ogni materia, dal marmo ai metalli, tutto è disponibile e sottomesso alla creatività: quando l’arte è figurativa denuncia la realtà, quando rappresenta la visione ambisce a modelli futuri e garanti dell’unica e possibile libertà.
- Fare scultura è un modo per me di regolare il flusso delle emozioni, cercando di sintetizzare in semplicità e ordine la forma nella sua possibile e inesorabile mutazione.
Nel silenzio
In questo Tutto
Mi vado trovando
Ignorando il mondo
sogno opaco in questa luce
lasciatemi ascoltare
che il correre e gridare
non frantumi
le fragili ali
faccio l’esperienza
dell’immortalità
di Diana Baylon hanno scritto: U. Baldini, L.P. Baratti, F. Bartoletti, M. Bergomi, E. Biffi Gentili, M. Bonollo, P. Bortolotti, G. Breddo, E. Buck, C.E. Bugatti, C. Calvelli, D. Cara, M. Casati, O. Casazza, C. Castellacci, E. Cecioni, C. Cioni, C. Colombo, V. Colombo, V. Corti, P. Daverio, L. de Domizio Durini, R. De Grada, S. De Rosa, G. Di Genova, C. Ghilardi, C. Fiordimela, L. Fontana, G. Giannattasio, V. Guzzi, M. Iacorossi, D. Lini, A. Mari, C. Marsan, S.M. Martini, G. Mascherpa, M. Masciotta, S. Mazza, V. Melani, F. Miele, B. Munari, E. Natali, E. Nistri, G. Nocentini, M. Novi, P. Pacini, T. Paloscia, A. Pansera, M. Paraventi, L. Ponti, E. Pouchard, R. Radice, T. Rampazzi, R. Ricchi, A. Ricci, P.C. Santini, S. Scarane, P. Scarpa, M. Sebore, G. Serafini, A. Socal, V. Sparagna, M. Taboga, C. Titomanlio, E. Torres, E. Treccani, D. Valeri, R. Venturi, L. Vinca Masini, L. Vivarelli e altri...